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25 aprile 2011

Pasquetta di qualche anno fa a Burcei

Pasquetta di qualche anno fa a Burcei
Oggi,  
mi avvicino 
da Marco e Ignazio a “Su passu”, 
ho intenzione di comprare un pò di pane di burcei
e una bottiglia del loro vino, 
quello che “fait scaresci is amarguras
de sa vida”, nieddu e sinceru, e, 
mentre mi appresto ad andare via,
ecco il solito veccghietto, 
lo stesso che mi racconto dello strano rito
ai piedi del fico.
Mi racconta un’altra storia. 
Molti anni fa un gruppo
di giovani del paese andò a fare la gita di pasquetta 
nei pressi del rio ollastru, 
percorrendo i sentieri tracciati dai minatori, 
verso la
vecchia miniera di argento. 
Uno di loro trovo, non si sa come, una
antica pietra. 
Era una pietra piatta con su incisi dei disegni, la
rappresentazione di un labirinto. 
Da quello che ho capito doveva essere
una “pintadera”, 
pietra che i nuragici forse utilizzavano per marchiare
il pane.
Quel giovane era figlio di uno dei panettieri del paese, tenne
gelosamente per se la pietra. 
Lo stesso anno, in particolare per la
ricorrenza di S. Antonio, il santo che rubò il fuoco dall’inferno, 
con la sua ferula, 
per portare il calore nella nostra Isola, 
iniziarono a
comparire pani istoriati con i motivi della pietra. 
Lo stesso si faceva
per i pani offerti in onore dei morti del paese, dopo la messa del
trigesimo. 
E nessuno diceva niente, pareva tutto normale. 
Il vecchio mi
ha ancora detto che forse nell’impasto di quel pane vi era l’acqua
attinta nel rio ollastru.
Questa tradizione durò per qualche anno, e si
diceva che quel pane era magico :guariva dal mal di gola, ridonava
vigore ai malati, voglia di vivere a chi stava male. 
Ma un bel giorno,
non si sa bene perché, fini quella strana produzione di pane.
Forse chiuse il forno, 
forse vi sono motivi imprescrutabili ed esoterici che
ne hanno determinato la fine. 
Ma il vecchio mi dice che la pietra e’
ancora in paese, e che forse viene usata solo in momenti
particolarmente critici. 
Il suo labirinto senza fine continua a
tracciare segni, là fra le vie e i campi del paese, 
verso l’infinito.

Roberto Pinna




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